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Viaggio nei luoghi di Adriano Olivetti: alla scoperta della Fabbrica Sociale di Ivrea(*)

  • Immagine del redattore: Leanbet
    Leanbet
  • 1 mag
  • Tempo di lettura: 8 min

Premessa: un'esperienza formativa dal valore inestimabile

Il 16 novembre scorso, insieme ad un gruppo di colleghi e partner della nostra rete professionale, ho avuto l'opportunità di visitare il complesso industriale Olivetti di Ivrea - oggi riconosciuto Patrimonio UNESCO - per approfondire il peculiare modello imprenditoriale di Adriano Olivetti.

Il viaggio è iniziato con una visita guidata al Visitor Center, per poi proseguire con un percorso attraverso i diversi edifici e luoghi simbolo dell'azienda, sotto la competente guida del personale locale. L'esperienza si è rivelata di straordinario interesse, permettendoci di scoprire il profondo legame tra pensiero imprenditoriale, architettura industriale e visione sociale che ha caratterizzato l'operato degli Olivetti, in particolare di Adriano.

In questo resoconto, desidero condividere quanto appreso durante questa giornata, riflettendo sui principi ispiratori dell'esperienza olivettiana e sul suo potenziale valore anche per le realtà aziendali contemporanee.






Le origini: Camillo Olivetti e la prima fabbrica

La storia inizia con Camillo Olivetti, ingegnere formatosi al Politecnico di Torino con Galileo Ferraris. Nato nel 1868 in una famiglia benestante, Camillo ebbe l'opportunità di studiare e viaggiare, acquisendo competenze linguistiche e conoscenze tecniche di prim'ordine. Particolarmente significativo fu il suo viaggio negli Stati Uniti, dove poté osservare il boom economico americano e le nuove modalità di organizzazione del lavoro, dalla parcellizzazione fordista alle innovazioni nella produzione industriale.

Fu proprio durante la sua permanenza in America che Camillo si appassionò alle macchine da scrivere e alle biciclette, due prodotti che rappresentavano il progresso tecnologico dell'epoca. Rientrato in Italia, mise a frutto le sue competenze fondando innanzitutto la "CGS" (Centimetro Grammo Secondo), azienda specializzata in strumentazione elettrica - in particolare contatori - per supportare lo sviluppo industriale italiano di inizio secolo.

Tuttavia, il suo vero obiettivo rimaneva la produzione di macchine da scrivere. Nel 1908 fondò a Ivrea, in un terreno di proprietà della famiglia, la prima fabbrica nazionale di macchine da scrivere. La posizione strategica, vicina alla stazione ferroviaria e non lontana dal fiume Dora, si rivelò ideale per lo sviluppo dell'attività.

L'edificio originario, realizzato in mattoni rossi con grandi finestroni, rappresentava l'architettura industriale tipica dell'epoca: spazi aperti per la produzione in linea, ma con ambienti relativamente bui nonostante le ampie finestre. La prima macchina Olivetti, la M1, fu presentata alla fiera internazionale di Torino del 1908, riscuotendo immediato successo presso istituzioni, esercito e pubbliche amministrazioni.


La visione tecnica innovativa

Già dalle prime produzioni, Camillo Olivetti dimostrò una particolare attenzione al design funzionale. Studiando i difetti delle macchine americane Remington (che battevano da sotto, impedendo di vedere ciò che si scriveva), sviluppò modelli innovativi più ergonomici e performanti.

Un esempio significativo è rappresentato dalla distribuzione delle leve collegate ai tasti, progettate per compensare la diversa forza delle dita: le dita più forti erano svantaggiate, mentre quelle più deboli avvantaggiate, garantendo così una pressione più uniforme e un risultato estetico migliore nella battitura. Anche la disposizione dei tasti fu oggetto di attente valutazioni, sia per ridurre l'accavallamento dei martelletti durante la digitazione veloce, sia per adattarsi alle peculiarità delle diverse lingue.

Durante gli anni tra le due guerre, l'azienda dovette affrontare problemi di approvvigionamento di materiali. In pieno spirito di autarchia, Olivetti implementò sistemi di riciclo, chiedendo ai clienti di restituire le vecchie macchine al momento dell'acquisto di nuovi modelli, per recuperare parti e materiali. Con l'avvento delle leghe di alluminio, la struttura delle macchine cambiò radicalmente: da telai in acciaio che pesavano 15-20 kg si passò a modelli di 7 kg, più trasportabili e adatti anche all'uso domestico.


Il passaggio a una nuova generazione: Adriano Olivetti

Quando Camillo decise di lasciare la guida dell'azienda, la affidò al figlio Adriano, l'unico sul quale riteneva di poter fare affidamento. È interessante notare come Adriano non avesse la mentalità ingegneristica del padre, ma fosse più orientato verso aspetti sociali - una differenza che si rivelò un vantaggio per lo sviluppo futuro dell'azienda.

Adriano aveva iniziato a lavorare in fabbrica giovanissimo, a soli 13 anni, durante l'estate del 1914. L'esperienza diretta delle condizioni di lavoro lo portò a sviluppare una sensibilità particolare per l'alienazione del lavoro ripetitivo degli operai. Da qui nacque la sua convinzione che l'azienda non dovesse sfruttare l'operaio, ma piuttosto essere uno stimolo per la sua crescita personale e professionale.

Questa visione si tradusse in un approccio olistico che abbracciava architettura, urbanistica e benessere dei lavoratori. Le fabbriche dovevano avere ampie vetrate per garantire luce naturale; gli operai dovevano poter usufruire di supporto sanitario, con infermerie dedicate; la cultura doveva essere accessibile a tutti, attraverso biblioteche e attività culturali. L'intervallo pranzo di due ore permetteva ai dipendenti non solo di mangiare, ma anche di dedicarsi ad attività ricreative, culturali o sportive.


Un welfare aziendale all'avanguardia

Il sistema di welfare aziendale sviluppato da Adriano Olivetti era straordinariamente avanzato per l'epoca, e per molti aspetti lo sarebbe anche oggi. Comprendeva:

  • Asili nido aziendali (con edifici progettati specificamente per i bambini, senza gradini e con materiali sicuri)

  • Servizi sanitari gratuiti (compreso il dentista e l'oculista, con apparecchi e occhiali forniti gratuitamente)

  • Trasporti aziendali per i dipendenti

  • Maternità pagata per 7-8 mesi (ben oltre i due mesi previsti dalla legge dell'epoca)

  • Colonie estive per i bambini (utilizzate anche dalle madri con neonati nei periodi non estivi)

  • Biblioteche e centri culturali

  • Attività sportive e ricreative

È significativo notare come Adriano avesse una visione equilibrata tra sviluppo industriale e preservazione del territorio. Per evitare lo spopolamento delle campagne e delle montagne circostanti, stabilì che da ogni famiglia potesse essere assunto un solo membro, mentre agli altri veniva garantito un reddito minimo per continuare a lavorare nei campi. Inoltre, i prodotti agricoli locali venivano acquistati per le mense aziendali, creando un sistema che oggi definiremmo a "chilometro zero".


L'architettura al servizio del benessere

Un aspetto fondamentale dell'esperienza olivettiana è rappresentato dall'architettura industriale e residenziale. Durante la nostra visita, abbiamo potuto osservare l'evoluzione degli edifici, dalla fabbrica originaria in mattoni rossi alle costruzioni razionaliste degli anni '30-'40, fino agli edifici modernisti degli anni '50-'60.

Particolarmente significativo è l'ampliamento della fabbrica realizzato negli anni '30 dagli architetti Figini e Pollini, esponenti del razionalismo italiano. L'edificio presentava una facciata completamente vetrata, rivoluzionaria per l'epoca, che permetteva l'ingresso della luce naturale rendendo l'ambiente di lavoro più salubre e gradevole. Questa scelta nacque probabilmente anche dall'esperienza personale di Adriano, che aveva vissuto in prima persona il disagio di lavorare in ambienti bui e alienanti.

Altre strutture significative includono:

  • L'asilo aziendale (1939-1941), costruito in pietra locale per risparmiare ferro, con spazi pensati per i bambini e arredi disegnati appositamente

  • La biblioteca di fabbrica, concepita come luogo accessibile agli operai e alle loro famiglie

  • Le case per i dipendenti, costruite con criteri moderni di comfort ed efficienza

  • "Talponia", un innovativo complesso residenziale seminterrato a forma di ferro di cavallo, realizzato tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70

  • Il Palazzo Uffici, progettato per riunire le direzioni delle diverse divisioni aziendali

Colpisce in particolare l'attenzione all'integrazione tra edifici, spazi verdi e contesto urbano, espressione di una visione che considerava l'industria non come elemento estraneo al territorio, ma come parte integrante della comunità.


Un modello di impresa integrato nel territorio

Adriano Olivetti aveva una concezione dell'impresa come parte di una comunità più ampia. Non si limitò a creare un'azienda efficiente e competitiva, ma si impegnò a costruire un modello integrato di sviluppo che comprendesse l'industria, il territorio e la società.

La sua attenzione si rivolgeva anche alla formazione dei lavoratori. L'azienda investiva nella creazione di scuole professionali, affinché i giovani potessero acquisire le competenze necessarie prima di entrare in fabbrica. L'idea era quella di elevare il livello culturale dei lavoratori, non solo per migliorare la produttività, ma anche per renderli cittadini più consapevoli, capaci di comprendere e amministrare il proprio territorio.

Questo concetto veniva sintetizzato da Adriano nella "responsabilità della fabbrica": l'industria, che sottraeva persone alla campagna, aveva il dovere di restituire qualcosa, ovvero una maggiore consapevolezza e migliori condizioni di vita.


L'innovazione tecnologica: dalle macchine meccaniche all'elettronica

Durante la nostra visita, abbiamo potuto ripercorrere l'evoluzione tecnologica dell'azienda, dalle prime macchine da scrivere completamente meccaniche ai calcolatori elettronici.

Particolarmente significativa fu la vicenda di un operaio che, sorpreso a portare a casa componenti dalla fabbrica, anziché essere semplicemente licenziato, venne reintegrato per volere di Adriano. Questi aveva intuito che l'operaio non stava rubando, ma stava sviluppando idee innovative. Effettivamente, il lavoratore aveva concepito un sistema per la moltiplicazione e la divisione meccanica che, integrato nelle macchine Olivetti, consentì all'azienda di mantenere per 15 anni una posizione di vantaggio rispetto alla concorrenza.

Alla fine degli anni '50, sollecitato da Enrico Fermi, Adriano comprese l'importanza cruciale dell'elettronica per il futuro dell'azienda. Nonostante l'opposizione interna, diede vita a un gruppo di ricerca guidato da Mario Tchou, un brillante ingegnere italo-cinese reclutato dalla Columbia University. In pochi anni, questo team riuscì a sviluppare prima un calcolatore a valvole e poi il primo calcolatore interamente a transistor, il 9003.

Questo successo suscitò preoccupazione sia nella gerarchia politica italiana sia negli americani, nel contesto della guerra fredda. Purtroppo, una serie di eventi drammatici - la morte improvvisa di Adriano nel 1960, seguita dall'incidente mortale di Tchou l'anno successivo - mise in crisi l'azienda, che si trovò a dover affrontare difficoltà finanziarie senza la guida del suo visionario leader.


Il declino di un sogno

Dopo la morte di Adriano, l'azienda passò sotto il controllo di un gruppo di intervento composto da Mediobanca, Fiat e altri soggetti. Questo gruppo costrinse l'Olivetti a vendere la divisione elettronica agli Stati Uniti, disperdendo gran parte del know-how accumulato.

Negli anni '70 cominciarono le prime crisi, accentuate dalla necessità di riconvertire la produzione verso l'elettronica di consumo. Negli anni '80, sotto la guida di Carlo De Benedetti, l'azienda si riposizionò nel settore dei personal computer, contendendo a IBM il primato mondiale. L'Olivetti sviluppò anche una divisione per le telecomunicazioni, che portò alla nascita di Omnitel (telefonia mobile) e Infostrada (telefonia fissa).

Tuttavia, la concorrenza dei computer assemblati a basso costo e alcune operazioni finanziarie non riuscite portarono a un progressivo smembramento dell'azienda. Oggi, degli stabilimenti originari rimangono strutture riconvertite ad altri usi, mentre il nome Olivetti sopravvive come marchio del gruppo TIM, lontano dalla visione integrata di Adriano.


Riflessioni conclusive: l'eredità di Adriano Olivetti

Al termine della nostra visita, ci siamo trovati a riflettere sull'attualità del pensiero olivettiano e sulla sua possibile applicazione nel contesto economico contemporaneo.

La visione di Adriano Olivetti si fondava su alcuni principi fondamentali che mantengono intatta la loro validità:

  1. La centralità della persona: l'impresa non è solo un luogo di produzione, ma uno spazio di crescita umana e professionale

  2. L'integrazione tra impresa e territorio: l'azienda non deve estrarre valore dalla comunità, ma contribuire al suo sviluppo

  3. L'ambiente di lavoro come fattore di benessere: la qualità degli spazi influenza direttamente la qualità del lavoro

  4. L'innovazione come valore culturale: la ricerca e lo sviluppo devono essere incoraggiati a tutti i livelli dell'organizzazione

  5. La responsabilità sociale dell'impresa: il successo economico deve tradursi in benefici per la società.


Questi principi, lungi dall'essere obsoleti, sono oggi più che mai attuali nel dibattito sulla sostenibilità, sulla responsabilità sociale d'impresa e sul benessere organizzativo.

L'esperienza di Ivrea ci ha insegnato che è possibile conciliare efficienza produttiva e attenzione alla persona, innovazione tecnologica e rispetto per l'ambiente, successo commerciale e responsabilità sociale. Una lezione che, come consulenti di organizzazione aziendale, sentiamo il dovere di trasmettere alle aziende con cui collaboriamo.


Il modello Olivetti non può essere replicato integralmente - era figlio di un contesto storico, economico e culturale specifico - ma i suoi principi fondamentali possono e devono ispirare un nuovo modo di concepire l'impresa, più equilibrato e sostenibile.


La visita ai luoghi dell'Olivetti è stata per noi non solo un'esperienza formativa, ma anche un'occasione per riconnetterci con una delle più alte espressioni del "saper fare" italiano: quella capacità di unire tecnica e umanità, innovazione e tradizione, che rappresenta la nostra migliore eredità culturale.


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(*)Articolo di Andrea Bet - Leanbet Consulting

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